24
Feb
13

LA TENTAZIONE. DIO O D’IO? IL DECLINO DELLA FEDE

big_115All’indomani dell’abdicare del papa si assiste a uno sforzo globale per sostenere il suo gesto e non rimanerne delusi. Tutte le voci a lui intorno, cardinali e non, sono pronte e prodighe di giustificazioni, ricorrendo alle più diverse letture della Bibbia, e nello specifico dei Vangeli, trovando in alcune di esse addirittura una conferma (si vedano le più importanti testate).
Giustificazioni al suo gesto arbitrario, che concorrono a descrivere un uomo semplice, immerso nella fede e umile. Il confine tra umiltà e superbia è, in realtà, impercettibile, ma qui se ne intuisce il pur esile spessore, un velato muro di cinta di cui non si vede il perimetro, a distinguere quest’ultima.
Tanto più si giustificano i potenti, quanto più è chiara una loro inesorabile colpa, giusto per poterseli imbonire e mantenere intatto l’alveo in cui il loro potere ci sostiene.
E’ evidente che non possiamo conoscere quello che è passato nella mente di papa Ratzinger, ciò che realmente l’ha condotto a questa scelta.
Al di là del fatto che possa essere stato sollecitato, ho la sensazione che, alla luce dei suoi fallimenti, dichiarando le sue incapacità e abusando, dopo le dimissioni, di entrambe le cose, vada esprimendo la necessità di manifestare un potere che fa capo a una dimensione ieratica, prima offuscata dai risultati discutibili delle sue azioni, frutto di ostinazioni e rigidità classiche di chi non vede al di là del proprio regno.
Per Ratzinger la teologia non pare essere un metodo di assunzione e insegnamento della “lectio divina”, ma un rifugio dall’alto del quale esercitare potere criptico (fino ai prodromi della tirannia): una sorta di identificazione con Dio, che trova la sua massima espressione nel nascondimento, nella non visibilità. Dichiara infatti che vivrà nascosto. Sa che non sarà ricordato per il suo pontificato, perciò quale scelta migliore per sopperire al calvario mancato (egregiamente incarnato dal suo predecessore), se non compiere un gesto unico, potentissimo, elevatissima espressione di potere, che scuota il mondo intero in tutti i suoi apparati?
Una scelta – dice – “meditata di fronte a Dio.”
Mi permetto di pensare, se tutto è disegnato e designato da Dio, nulla può essere meditato, che possa mettere in discussione la Sua volontà, a meno che non prenda la forma della sovversione.
Ma se così fosse, Dio avrebbe eletto il suo vicario affinché gli si opponesse? Quale oscura finalità della voce divina, quale contorta manifestazione del libero arbitrio!
B-XVI, all’Angelus, invita i fedeli a non usare Dio per avere il potere… ma se proprio lui, Ratzinger, lo ha appena fatto!
E ancora, “vogliamo inseguire l’io o Dio?” Ma come, ha appena dato luogo a una delle massime espressioni che l’Io può svolgere e manifestare, usando il proprio pensiero cosciente e razionale, talmente razionale che ha scritto e letto il commiato in latino! (Non credo che Dio, ammesso che abbia risposto alle sue riflessioni, lo abbia fatto in latino…)
Raccomanda di non scadere nell’egoismo, quando il suo ultimo gesto può leggersi come una grande manifestazione di individualismo (ovvero di egoismo), che accuratamente cela, poiché, dopo le sue dimissioni, da quanto ho letto, non ha espresso una sola parola di sostegno e conforto alle genti tutte, credenti o no, che dalla sua scelta arbitraria hanno tratto solo confusione, interrogativi e paure.
Piuttosto supplica di pregare per lui!
Alla luce di tutto questo non credo di sbagliarmi nell’affermare che la sua scelta è colta nel vulnus della superbia, piuttosto che dell’umiltà.
Il papa condanna i media, quando la sua è un’azione rivolta ai media, per i media e con i media (estrema contraddizione). Il suo gesto è intriso di protagonismo, un buon modo di vedere che cosa può accadere durante la propria morte (“virtuale”, da papa) e controllare chi sarà il successore, dall’alto del suo potere terreno e dal nascondimento. Dio c’entra poco, mi sembra.
E’ il primo papa che, prendendosi “dopo le dimissioni un mese di preavviso” (come un qualunque funzionario), in qualche modo può assistere al suo funerale e dire: “Sono la fine del vecchio e l’inizio del nuovo”. In queste parole, a mio avviso, si intravvede l’identificazione con Cristo, anche se ciò che appare come il suo sacrificio viene perpetrato per salvare, in questo caso, la Chiesa (come istituzione), per necessità, e non l’uomo, assistendo personalmente, da dietro le quinte, a questo salvataggio.
Scelta tanto più verosimile, in quanto voluta nel periodo pasquale. A Pasqua lo vedremo (e lui si vedrà) risorgere in un altro papa.
Secondo i Vangeli, Cristo sulla croce disse: “Padre mio, perché mi hai abbandonato?”
Forse questo Papa dovrebbe chiedersi: “Dio mio, perché ti ho abbandonato?”
“Ognuno” afferma B-XVI “è libero di contraddirmi.”
E poi solo silenzio.


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